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Nova tellus

Print version ISSN 0185-3058

Nova tellus vol.27 n.2 Ciudad de México Nov. 2009

 

Artículos

 

Omero e l'origine della teoria degli stili1

 

Stefano Dentice Di Accadia

 

Universidad de Colonia. stefanodentice@libero.it

 

Recepción: 24 de agosto de 2009.
Aceptación: 20 de octubre de 2009.

 

Riassunto

La presente comunicazione intende esaminare alcuni commenti formulati dai critici antichi relativamente ai vv. 203-224 del III libro dell'Iliade, dove Antenore ricorda Menelao e Odisseo, giunti a Troia in ambasceria prima dello scoppio della guerra, e ne descrive i diversi stili oratorii. Dall'esame emergono tre considerazioni:

A. alcuni personaggi omerici (non solo Odisseo e Menelao, ma anche Nestore e lo stesso Antenore) erano individuati dai critici antichi come veri e propri oratori.

B. Omero era considerato conoscitore, se non inventor, di tre diversi modi di pronunciare discorsi, di tre stili, che successivamente saranno emulati, ma —si badi bene— non inventati o rifondati, da Lisia, Isocrate e Demostene. I commentatori antichi individuarono in questo passo le origini di quella teoria degli stili che avrà tanta fortuna nel mondo antico.

C. i commentatori antichi non esitarono ad impiegare termini tecnici, parte del dominio della scienza oratoria codificata, riferendoli a personaggi di un poema antico come l'Iliade.

Si può pertanto affermare che Omero era considerato nell'Antichità il pater se non della retorica come dottrina sistematica, certamente dell'oratoria come pratica consolidata. Inoltre si può riconoscere nelle parole di Antenore una principio di riflessione teorica sugli stili.

Parole chiave: Omero, retorica, Iliade, scolii, Eustazio.

 

Abstract

In this paper I examine some ancient comments on Iliad, 3, 203-224, where Antenor remembers the time when Menelaos and Odysseus came to Troy as ambassadors before the outbreak of the war, and describes their different speaking styles.

From this examination one may conclude that:

A. some characters in the Iliad (not only Odysseus and Menelaos, but also Nestor and even Antenor) were regarded by the ancient critics as orators, not merely as speakers.

B. Homer was thought to know, if not to be the founder of, three different ways of speaking, i.e. three styles, which would later be imitated (N.B. not invented or refounded) by Lisias, Isocrates and Demosthenes.

C. The ancient commentators did not hesitate to use technical terms, which belonged to the field of the codified rhetoric, in order to describe characters in a poem as old as the Iliad.

Therefore it is possible to maintain that Homer in ancient times was thought to be the pater if not of rhetoric as a discipline, undoubtedly of oratory as a systematic practice and the first author who delineated, albeit sketchily, the theory of styles.

Keywords: Homer, Rhetoric, Iliad, Scholia, Eustathius.

 

In Omero gli Antichi ravvisavano l'iniziatore della dottrina retorica in generale e dei suoi singoli teoremi attraverso i discorsi dei suoi personaggi e i commenti che Omero affianca a questi discorsi. Essi assumevano sul terreno della retorica lo stesso atteggiamento che avevano in merito agli altri ambiti (geografia, diritto, strategia militare etc...).

Si tratta di una linea interpretativa che, mentre incorre in certe esagerazioni, nel complesso non sbaglia, perché il poema eroico nella sua paradigmicità e nella sua forza di rappresentazione della società umana, effettivamente convoglia in sé conoscenze tecniche in tutti i campi.2 Così anche nell'oratoria tale linea interpretativa è corretta perché gli eroi omerici hanno una dimensione oratoria notevolissima, sono "dicitori di discorsi e fattori di opere".3 Essi parlano diversamente in rapporto alle occasioni, agli ascoltatori, e articolano il loro discorso in parti che chiaramente a tratti anticipano le partizioni successive (exordium, argumentatio, peroratio, etc...).

Ciò non significa che questi eroi e Omero che li inscena avessero in mente una sorta di manuale di retorica, ma si tratta del fatto che l'oratoria, molti secoli prima della composizione delle prime , si era già sviluppata in tecnica raffinata non meno dell'architettura, della scultura, della poesia e della carpenteria dello stesso periodo. Fin qui nulla di nuovo: molti e illustri studiosi hanno insistito sulla necessità di tener conto del discrimine tra teoria retorica e prassi oratoria4 quando si parla di discorsi omerici. Si può aggiungere, però, che Omero in alcuni punti della sua opera affianca al discorso diretto osservazioni relative ad esso, che tendono a configurarsi (si badi bene, è solo una tendenza!) come osservazioni retoriche anticipatrici di dottrine future. È il caso di un celebre passo del terzo libro dell' Iliade, che esamino qui di seguito.

I commenti antichi ad Il., III, 212 e ss.

Ai vv. 203-224 del libro III dell'Iliade Antenore, vecchio con sigliere del re Priamo, ricorda ad Elena quando, prima dell'assedio di Troia, aveva accolto Menelao ed Ulisse, giunti in ambasceria per regolare amichevolmente le controversie tra Greci e Troiani:5

Il saggio Antenore allora diceva a lei di rimando:
"Donna, è davvero preciso il discorso che hai fatto!6
Una volta, infatti, in passato, è venuto anche qui Odisseo divino,
in ambasciata per te, con Menelao bellicoso;
fui proprio io ad ospitarli e li accolsi nella mia casa,
così conobbi il carattere e i pensieri sagaci di entrambi.
Quando poi si s'incontrarono con i Troiani riuniti,
se stavano in piedi, Menelao sovrastava con le sue ampie spalle,
se invece sedevano entrambi, il più imponente era Odisseo;
ma quando poi formulavano in pubblico discorsi e pensieri,
Menelao allora parlava conciso, poche battute,
ma con grande efficacia, ché non era di molte parole
né si lasciava sfuggire sciocchezze; del resto era anche più giovane.
Quando invece si alzava a parlare Odisseo scaltrito, se ne stava
in piedi a lungo, guardava all'ingiù, fissando gli occhi a terra,
non agitava lo scettro né avanti né indietro,
ma lo teneva immobile, alla maniera di un esperto:
avresti detto che era imbronciato o addirittura fuori di sé.
Ma quando svolgeva dal petto la sua voce possente
e le parole, dense come fiocchi di neve d'inverno,
con Odisseo allora nessuno si sarebbe messo in gara:
non stavamo più come prima a stupirci di lui, per il suo aspetto.7

Antenore, entrato nel vivo della descrizione dei due oratori, al v. 212 comincia a descrivere i loro diversi modi di formulare in pubblico discorsi e pensieri .8 Desidero prendere in considerazione gli scolii a questo verso:

Omero conosce tre stili di discorso oratorio, quello paratattico , breve, che si limita a mostrare il necessario, che Lisia emulò; quindi quello elevato , che colpisce, ricco di suggestive argomentazioni dette tutte insieme, che Demostene emulò; infine quello persuasivo e fondato sulla tecnica , pieno di molti concetti, che Isocrate emulò, chiamandolo sentenzioso e chiaro.

Lo stile semplice di Menelao-Lisia, quello serrato di Odisseo-Demostene, il persuasivo di Nestore-Isocrate.

1. Il primo stile cui fanno riferimento gli scoliasti è quello dunque piano e regolare, con frasi chiare, che predilige un andamento paratattico.

2. Il secondo, lo stile "elevato", è quello che mira a sconvolgere gli animi per mezzo degli , termine che qui sta ad indicare argomentazioni che mirano al dell'ascoltatore, la sede cioè delle sue passioni.

3. Il terzo infine è detto persuasivo con un termine —— che ricorre molto spesso nella Retorica di Aristotele9 ad indicare un'argomentazione che tende a persuadere razionalmente l'ascoltatore, non facendo leva (o almeno non soltanto) sulle sue emozioni. In questo senso mi pare che vada anche il termine , che leggiamo due volte nel Fedro ed una nel Gorgia platonici.10

La ripartizione degli stili è ancora più chiara se si legge il commento di Eustazio che riprende, ampliandoli, quanto dicono gli scolii appena analizzati:

... (Antenore) descrive la forma del discorso di Menelao attraverso l'impeto giovanile e la brevità laconica, chiamandolo conciso , uno stile, cioè, che nomina in breve solo le cose strettamente necessarie tralasciando il superfluo; quindi cita i vv. 212-215.

lo stile proprio di Odisseo lo spiega invece come assai vigoroso , un discorso che si allarga con fitte riflessioni (quindi cita i vv. 221-223).

L'aggettivo è significativo, dal momento che nel linguaggio retorico l'espressione indica lo stile "grandioso" opposto al , lo stile "semplice".

Passo ora ad analizzare brevemente quanto gli Antichi dicono a proposito del diverso atteggiamento oratorio che Odisseo assume rispetto a Menelao nel ricordo di Antenore ai vv. 216-220:11

Quando invece si alzava a parlare Odisseo scaltrito, se ne stava
in piedi a lungo, guardava all'ingiù, fissando gli occhi a terra,
non agitava lo scettro né avanti né indietro,
ma lo teneva immobile, alla maniera di un esperto:
avresti detto che era imbronciato o addirittura fuori di sé.

Lo scoliaste del v. 217 dei manoscritti A, b e T scrive: , ovvero indica che l'argomento trattato è l'actio, la gestualità dell'oratore.12 Questo dato suggerisce ad Eustazio un interessante confronto tra Demostene ed Eschine (407, 27-30):

L'immobilità dello scettro opportunamente opposta al movimento allude anche a una differenza nel movimento delle mani nelle demegorie, laddove Demostene lo eseguiva, mentre Eschine lo rifiutava, avendo costui sentito da Demostene che bisognava che gli oratori di ambascerie tenessero ferme le mani, non invece quelli che pronunciavano demegorie.13

Infine interessante quanto i commentatori scrivono a proposito della celebre metafora del v. 222, con cui il Poeta paragona le parole di Odisseo a fiocchi di neve. La traduzione che del greco dà Giovanni Cerri: E le parole, dense come fiocchi di neve d'inverno si fa fedele interprete almeno di una delle osservazioni che gli scoliasti fanno al riguardo:

l'immagine è in rapporto alla velocità dell'orazione: con l'abbondanza [...] è spiegata la densità del discorso, con il colore bianco la chiarezza, con la neve il brivido degli ascoltatori.

l' immagine indica la velocità, la ricchezza, la densità, la chiarezza, il candore della neve, il brivido degli ascoltatori...

Tale interpretazione è ripetuta in termini praticamente identici da Eustazio a 408, 1-2. A ben vedere però Eustazio ci soccorre nell'interpretazione di quella espressione riguardante l'abbondanza, usata dallo scolio b 222ai, e al posto di suggerisce , la velocità dei pensieri che si susseguono nell'impetuosa orazione di Odisseo proprio come i fiocchi di neve che cadono l'uno dopo l'altro.14

Lo stesso Eustazio però, poco più avanti (408, 14 e ss.), introduce due nuove ipotesi interpretative che complicano il quadro:

1) il fatto che i discorsi assomiglino a fiocchi di neve può essere detto scherzosamente ad un oratore freddo ; 2) può anche essere che i pensieri «densi» siano in altro modo identificabili con l'espressione "parole come fiocchi di neve", se lì non si dirà la parola in favore di , che vale a dire "assennati".

Analizzo quest'ultima ipotesi, che mi sembra di gran lunga la più interessante: Eustazio qui suggerisce giustamente di intendere il termine nell'espressione (pensieri sagaci) del v. 202 e 208 nel senso traslato di , ovvero come sinonimo di : "saggio", "assennato".15

In effetti è aggettivo che proprio in Omero ricorre con questo significato legato alle parole .16 Poco importa se qui, come pare, Eustazio voglia operare una scelta testuale leggendo al posto di ; ciò che mi interessa è la sua scelta semantica.

Fin qui tutto bene. Il discorso si fa invece farraginoso quando Eustazio cerca di utilizzare il significato traslato di ("saggio", "accorto") per spiegare la metafora dei fiocchi di neve. Non si capisce proprio infatti in quale modo i fiocchi di neve potrebbero suggerire l'assennatezza o la saggezza delle parole di Odisseo. L'idea di densità o fittezza invece, presente nella traduzione di G. Cerri, è in linea, come abbiamo detto, con un'interpretazione che già gli Antichi davano insieme a quelle della velocità (Eustazio stesso e scolio T), della chiarezza e del brivido.17 Le parole di Odisseo si susseguono fitte e veloci come i fiocchi di neve. Tornando ad Eustazio, mi sembra quindi di trovarmi di fronte ad un caso —non infrequente— di "iperinterpretazione" del testo da parte di un commentatore antico, che, nella foga dell'analisi critica, non riuscì a rinunciare ad un'ultima concettosa e contraddittoria interpretazione.

 

Conclusioni

La lettura degli scolii e del commento di Eustazio ad Iliade, III, 212, ha mostrato che gli antichi individuarono in quel passo omerico la prima presentazione dei tre stili oratorii, attribuendoli a tre diversi personaggi. Certo tali fonti provano solo che, a posteriori, gli Antichi ravvisarono in Omero la dottrina dei tre stili, dopo, e non prima, che essa si formò. Resta il fatto però che i commentatori antichi avevano ragione di riconoscere in Omero un' attenzione non priva di competenza tecnica verso l'arte oratoria.

Nello specifico, dalla lettura dei commenti antichi ai vv. 203224 del III libro dell'Iliade emerge chiaramente che nell'Antichità:

1. alcuni personaggi omerici erano individuati come veri e propri oratori. È il caso oltre che di Odisseo e Menelao, come abbiamo visto, anche di Nestore e di Antenore, la cui qualifica di gli consente di descrivere, con cognizione di causa, i due greci.

2. Omero era considerato il conoscitore , se non l'inventor, di tre diversi modi di pronunciare orazioni, di tre stili che in seguito, in epoca storica, saranno emulati, ma — si badi bene— non inventati o rifondati, da Lisia, Demostene ed Isocrate. È in questo passo che i commentatori antichi individuarono quindi le origini di quella teoria dei tre stili (che in alcuni casi diverranno quattro) che avrà tanta fortuna nel mondo antico, percorrendo l'opera di pressoché tutti coloro, greci e romani, che si occuparono di questioni di retorica. Teoria, questa, che il mondo antico lascerà in eredità al Medioevo e poi al Rinascimento.

3. i commentatori non hanno alcuna esitazione nell'utilizzare termini tecnici, parte del dominio della scienza oratoria così come si era sviluppata nel corso dei secoli, attribuendoli a personaggi di un poema antico come l'Iliade. Ciò dimostra che essi consideravano Omero verosimilmente il pater se non della retorica come dottrina sistematica, certamente dell'oratoria come pratica consolidata.

Il presente contributo si inserisce pertanto nel vasto dibattito che negli ultimi decenni si è sviluppato intorno al problema delle origini della retorica. Se con essa si intende non una scienza sistematica, ma la pratica oratoria che si ispira a regole non scritte e spiegate, ma pur sempre chiare e consapevolmente impiegate, allora c'è la possibilità di retrodatare la sua nascita ai secoli che portarono alla formazione dei poemi omerici. La critica antica, pur accettando tacitamente che solo a partire dal V sec. a. C. vi furono manuali retorici scritti, rintracciò già nei poemi omerici l'uso ragionato di tecniche di persuasione mediante la parola, e riconobbe in Omero un maestro nell'arte dei discorsi strutturati.18

 

Postilla

Soltanto dopo aver già dato alle stampe il presente articolo, sono venuto a conoscenza di un contributo del 1994 di Françoise Létoublon,19 che contiene un'analisi del passo della Teicoscopia sorprendentemente simile alla mia. Anche qui si riportano infatti le testimonianze degli scolii e di Eustazio, soffermandosi sulle interpretazioni della metafora dei fiocchi di neve.20 Tuttavia l'originalità del mio contributo è salva, se è vero che, pur nell'affinità del metodo seguito, l'impostazione concettuale e quindi i risultati a cui pervengo sono nella sostanza molto diversi. Létoublon scrive che Antenore nel passo della Teicoscopia descriverebbe due diversi stili oratori, senza tuttavia fornire alcun elemento esplicito di teorizzazione, ma semplicemente rifacendosi ad esempitipo che fungono da modelli, come sarebbe nello spirito dell' Iliade. I commentatori antichi si sarebbero quindi lasciati prendere la mano dalle teorie del loro tempo, retrodatandole all'epoca di formazione dei poemi omerici. Subito dopo, tuttavia, la studiosa manifesta l'impressione che il brano contenga una teoria implicita, che in seguito sarebbe stata sviluppata e presentata in forma sistematica dai retori. Nonostante ciò, Létoublon poi non dà seguito a questa sensazione, bensì insiste sulla falsificazione dell'interpretazione antica, che impropriamente attribuirebbe una teoria antica all'età di formazione dei poemi omerici. I commentatori antichi vollero dare un'aura di rispettabilità alla teoria degli stili ben consolidata al loro tempo, e pertanto la ricondussero al poema omerico. Ciò sarebbe particolarmente evidente per il personaggio di Nestore, che non compare nel passo della Teicoscopia, e che eppure è indicato dai commentatori antichi come rappresentante di un terzo stile non presentato né da Antenore, né altrove nel poema. Quindi la studiosa conclude che «la lecture des commentateurs anciens fausse le sens de l'Iliade», dal momento che essa fa di Nestore un modello di oratoria, laddove egli sarebbe più semplicemente inteso come il prototipo dell'eroe troppo vecchio per combattere e al quale resti solo la forza delle parole.

Dal canto mio, invece, ho cercato di dimostrare la necessità di ammettere un principio di teoria retorica già presente nell'Iliade; ho sviluppato, cioè, proprio quella sensazione alla quale la studiosa francese non ha voluto dare ascolto fino in fondo. È chiaro che non abbiamo a che fare con un manuale tecnico dove siano esposte regole, ma la tendenza dei commentatori antichi ad utilizzare luoghi omerici come modello di teorie consolidate nel loro tempo trovava terreno fertile nei poemi, proprio perché in essi sono presenti in nuce teorie sviluppate successivamente in forma sistematica. I personaggi omerici sono caratterizzati come brillanti oratori; le loro parole sono persuasive ed essi adottano tecniche di persuasione raffinate. A questa dimensione squisitamente pratica, di oratoria più che di retorica, il passo della Teicoscopia mi sembra che aggiunga interessantissime osservazioni retoriche, che inequivocabilmente preludono alla teoria retorica successiva.

 

BIBLIOGRAFIA

Opere antiche di riferimento

Eustathii Archiepiscopi Thessalonicensis Commentarii ad Homeri Iliadem pertinentes, ed. Van der Valk, 1971, 6 voll.         [ Links ]

OMERO, Iliade, con un saggio di Wolfgang Schadewaldt, introduzione e traduzione di Giovanni Cerri, commento di Antonietta Gostoli, 2 voll., Milano, 1996.         [ Links ]

[PLUTARCHI], De Homero, ed. Kindstrand, Lipsiae, 1990.         [ Links ]

Prolegomenon Sylloge, edidit Hugo Rabe, Stutgardiae-Lipsiae, 1931 (1995).         [ Links ]

Scholia Graeca in Homeri Iliadem, ed. Erbse, Berolini, 1969.         [ Links ]

"Σωπάτρου ´Yπόμνηα είς τὴν ´Eρμογένους τέχνην" in Rhetores Graeci, vol. V, edidit Walz, Osnabrück, 1832-1836 (1968).         [ Links ]

 

Notas

1 Il presente contributo rappresenta la versione scritta e notevolmente ampliata della conferenza da me tenuta a Strasburgo (Francia) il 27 Luglio 2007 in occasione del XVI° Congresso dell'International Society for the History of Rhetoric (I.S.H.R.).

2 Mi riferisco alla fortunatissima nozione di "Enciclopedia omerica" formulata da Havelock.

3 Parafraso Il., IX, 443.

4 L'elenco sarebbe talmente ampio che mi esimo dal riportarlo in questa occasione, riservandomi di dedicare alla questione della retorica/oratoria in Omero e allo status degli studi ad essa relativi un saggio specifico. Mi limito solo a rinviare a B. Reyes Coria, Límites de la retórica clásica, México, Universidad Nacional Autónoma de México, 20042 (1995), e alle mie considerazioni su questo saggio (S. Dentice di Accadia, "Omero, maestro di retorica?", A.I.O.N., sezione filologico-letteraria, Vol. XXVIII, 2006, pp. 167-171).

5 L'episodio è raccontato più diffusamente in Il., XI, 122-142.

6 Elena aveva appena riconosciuto Odisseo, (esperto in ogni raggiro e pensiero sagace, v. 202).

7 Questo e gli altri passi dell'Iliade sono riportati nella traduzione di G. Cerri (1996).

8 Prima di cominciare la nostra analisi dei commenti antichi a questi versi, che descrivono chiaramente due tipi di oratori tra loro contrapposti, è interessante notare che lo stesso Antenore è indicato dagli antichi come e proprio per questo in grado di apprezzare le qualità oratorie di Menelao ed Odisseo. In questo senso va lo scolio ai vv. 203-206: b (BCE3) Til [il comandante loda il comandante e l'oratore () l'oratore]. Quest'espressione, piuttosto ermetica, viene sciolta dallo scolio Ge: (cf. Γ 182), (il comandante loda il comandante come Priamo fa con Agamennone, e l'oratore loda l'oratore, ovvero Antenore loda Odisseo). La stessa osservazione è fatta da Eustazio prima a 406, 19 (Van der Valk 1971), quando scrive e poi ib., 406, 24-25: (= l'arte oratoria). Queste, a quanto ne so, sono le uniche attestazioni di Antenore oratore.

9 Cf. ad es. Rh. 1256b 26; 1403b 20.

10 Phdr. 273a e 273e Grg. 504d.

11 Tralascio invece Eustazio 406, 39-44, in cui il commentatore bizantino ripete sostanzialmente quanto avevano detto gli scoliasti a proposito della ripartizione degli stili.

12 Le principali fonti latine per l'actio sono Cicerone (soprattutto De Oratore, 213-227), Quintiliano (Institutio Oratoria, XI, 3) e la Rhetorica ad Herennium. Essa corrisponde grosso modo alla di cui parla Aristotele nel terzo libro della Retorica, cui gli autori latini probabilmente si rifanno attraverso Teofrasto, che avrebbe scritto un saggio ad essa dedicato. Tale tesi è sostenuta in Wöhrle, Actio, "Das fünfte Officium des antiken Redners", Gymnasium, XCVII, 1990, pp. 31-46.

13 Il passo di Demostene cui si fa riferimento è XIX, 255. Cf. anche Quintiliano, Ist. Or. X, 21, in cui si condanna l'opinione per la quale si considerano oratori attici soltanto quelli modesti nel parlare e semper manum intra pallium continentes.

14 Quintiliano (Ist. Or. XI, 3, 158) parla di procella eloquentiae (= tempesta oratoria).

15 Interessante notare che in Dionigi di Alicarnasso (De Tycidide, 24) l'espressione τὸ πυκνόν ha ancora un diverso significato, indicando la purezza d'espressione.

16 Rispettivamente in Il., XI, 788, e Od., III, 23.

17 Quest'ultimo è costituito dall'effetto sortito sugli ascoltatori. Non si dimentichi del resto che lo stile attribuito ad Odisseo è , colpisce e sconvolge l'ascoltatore ed è . Anche in virtù di ciò, oltre che ragionando alla luce della terminologia retorica antica, si deve escludere l'interpretazione dello stile di Odisseo come , freddo (come vorrebbe la prima ipotesi di Eustazio), ovvero un modo di pronunciare discorsi che lasci l'ascoltatore indifferente, per il quale v. il cap. IV del Del Sublime pseudolonginiano.

18 Una testimonianza fondamentale al riguardo è offerta dai trattati A e B (Sui discorsi figurati I e II) attribuiti a Dionigi di Alicarnasso, di cui ho preparato una traduzione italiana con commento di prossima pubblicazione (per ora cf. il mio recente contributo: S. Dentice di Accadia, "Nota bibliografica relativa ai trattati Sui discorsi figurati I e II dello Pseudo-Dionigi di Alicarnasso", A.I.O.N., sezione filologico-letteraria, Vol. XXIX, 2007). In queste opere l'Iliade è utilizzata come un serbatoio di esempi di tecniche oratorie raffinate e complesse (i "discorsi figurati" appunto).

19 F. Létoublon, "Le bon orateur et le génie selon Anténor dans l'Iliade: Mé-nélas et Ulysse", in La Rhétorique grecque, Actes du Colloque «Octave Navarre» troisième colloque international sur la pensée antique organisé par le CRHI les 17, 18 et 19 décembre 1992 à la Faculté des Lettres de Nice. Textes rassemblés par Jean-Michel Galy et Antoine Thivel, Paris, 1994, pp. 29-40.

20 Per le singole questioni rinvio alla lettura dell'articolo. Qui mi limito a confrontare l'impostazione complessiva con quella del mio contributo.

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