I. Premessa
Il concetto di animale è oggetto di una costante messa in discussione e rielaborazione nel continente europeo, sull’impulso del movimentismo animalista e delle teorie che fondano la rilevanza della “questione animale” in ambito filosofico e giuridico, in particolare aprendo ad ipotesi di ampliamento della soggettività oltre l’humanum. Ciò ha portato a differenze radicali nell’impronta dei singoli ordinamenti, come mostrano gli studi comparativistici1 (la riforma più recente riguarda l’Italia che, mediante la L. cost. 1/2022, ha modificato i Principi fondamentali della Carta costituzionale introducendo all’articolo 9 una «riserva di legge» per la disciplina di regolamentazione e tutela degli animali)2,ma anche - prima facie - ad un percorso di progressivo affinamento della disciplina da parte degli organi sovranazionali3.
In questo quadro generale, con il presente scritto si vuole tracciare il profilo della vigente disciplina europea, con riferimento all’Unione Europea e al Consiglio d’Europa, e far emergere alcune considerazioni di analisi del processo in corso.4
II. L’Europa
In Europa, a livello sovranazionale, previo un cenno alla Dichiarazione universale dei diritti degli animali della Lega Internazionale dei Diritti dell’Animale proclamata a Parigi presso la sede Unesco nel 19785 (nel preambolo afferma che «ogni animale ha dei diritti» e all’articolo 14 precisa che «devono essere difesi dalla legge come i diritti dell’uomo»; mentre all’articolo 6 lett. A definisce l’animale «compagno» del suo padrone umano e ne sancisce il «diritto ad una durata della vita conforme alla sua naturale longevità»), sotto profilo del diritto positivo comunitario distinguiamo -nella gerarchia delle fonti- tra fonti pattizie (infra II.1.), di diritto derivato primario (infra II.2.) e secondario (infra II.3.).
1. Unione europea: Trattati
Nel diritto dell’Unione europea, i Trattati istitutivi costituiscono fonti primarie cui il diritto derivato adottato dalle Istituzioni deve necessariamente conformarsi e dare attuazione. Già il Protocollo sulla protezione e il benessere degli animali,6 allegato al Trattato di Amsterdam del 2 ottobre 1997,7 ratificato in Italia con L. 209/1998,8 poi abrogato e recuperato nell’articolo 6-ter del TFUE, parlava già di animali come sensibili e senzienti e invitava a tenere conto del loro benessere.
Successivamente9 il Trattato di Funzionamento dell’Unione europea-T.F.U.E.,10 come modificato dal Trattato di Lisbona del 13 dicembre 200711 (ratificato in Italia con L. 130/2008),12 menziona gli animali in due disposizioni normative: l’articolo 13 recita che «l’Unione e gli Stati membri tengono pienamente conto delle esigenze in materia di benessere degli animali in quanto esseri senzienti»13 (da notare che siamo nella Parte I, «Principi», Titolo II, «Disposizioni di applicazione generale» il che -secondo autorevole dottrina- «assegna al benessere animale la connotazione di principio guida»),14 e l’articolo 36 riporta invece divieti e restrizioni giustificati da, all’interno di una elencazione più ampia, motivi di «tutela della salute pubblica e della vita delle persone e degli animali».15
2. Unione europea: Regolamenti e Direttive
Quanto invece alle fonti di diritto derivato dell’Unione europea (fonti secondarie, subordinate ai Trattati), possiamo rilevare i regolamenti (atti giuridici vincolanti, direttamente applicabili negli Stati membri) e le direttive (atti giuridici che stabiliscono obiettivi che gli Stati membri debbono raggiungere ma che necessitano -di regola, salvo poche e tassative eccezioni- di previ atti di recepimento da parte degli Stati membri). Per il tema che qui importa, elenchiamo i seguenti documenti:
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— il Regolamento CE n. 1/2005,16 nel preambolo, al considerando 5 prevede di «creare condizioni più rigorose per evitare dolore e sofferenza, al fine di salvaguardare il benessere e la salute degli animali durante e dopo il trasporto» e, al considerando 13, da atto che «lo scarico e il successivo carico degli animali potrebbe costituire un motivo di stress per questi ultimi»;
La concreta applicazione di questo regolamento, tuttavia, è risultata molto problematica.17
— Il Regolamento CE n. 1523/2007,18 nel preambolo, al considerando 1 recita «nella percezione dei cittadini dell’Unione Europea, cani e gatti sono considerati animali da compagnia, per cui non è accettabile usare le loro pellicce e i prodotti che le contengono», sicché all’articolo 3 stabilisce che «sono vietate la commercializzazione, l’importazione nella comunità e l’esportazione fuori della comunità di pellicce di cane e di gatto e di prodotti che le contengono».
— Il Regolamento CE n. 1099/200919, nel preambolo, al considerando 2 riconosce che «l’abbattimento degli animali può provocare dolore, ansia, paura o sofferenze di altro tipo agli animali anche nelle migliori condizioni tecniche» e all’articolo 3 c. 1 prescrive che «durante l’abbattimento e le operazioni correlate sono risparmiati agli animali dolori, ansia o sofferenze evitabili» e, a tal fine, prevede -nel prosieguo del medesimo articolo- che gli animali «a) ricevano conforto fisico e protezione, in particolare tenendoli puliti e in condizioni termiche adeguate ed evitando loro cadute o scivolamenti; b) siano protetti da ferite; c) siano trattati e custoditi tenendo conto del loro comportamento normale; d) non mostrino segni di dolore o paura evitabili o comportamenti anomali; e) non soffrano per la mancanza prolungata di cibo o acqua; f) non siano costretti all’interazione evitabile con altri animali che potrebbe avere effetti dannosi per il loro benessere».
— Il Regolamento CE n. 1223/200920 all’articolo 18 (rubricato: «sperimentazione animale») sancisce i seguenti divieti: «a) l’immissione sul mercato dei prodotti cosmetici la cui formulazione finale sia stata oggetto, allo scopo di conformarsi alle disposizioni del presente regolamento, di una sperimentazione animale con un metodo diverso da un metodo alternativo dopo che un tale metodo alternativo sia stato convalidato e adottato a livello comunitario, tenendo debitamente conto dello sviluppo della convalida in seno all’OCSE; b) l’immissione sul mercato dei prodotti cosmetici contenenti ingredienti o combinazioni di ingredienti che siano stati oggetto, allo scopo di conformarsi alle disposizioni del presente regolamento, di una sperimentazione animale con un metodo diverso da un metodo alternativo dopo che un tale metodo alternativo sia stato convalidato e adottato a livello comunitario, tenendo debitamente conto dello sviluppo della convalida in seno all’OCSE; c) la realizzazione, all’interno della Comunità, di sperimentazioni animali relative a prodotti cosmetici finiti, allo scopo di conformarsi alle disposizioni del presente regolamento; d) la realizzazione, all’interno della Comunità, di sperimentazioni animali relative a ingredienti o combinazioni di ingredienti allo scopo di conformarsi alle disposizioni del presente regolamento, dopo la data in cui dette sperimentazioni vanno sostituite da uno o più metodi alternativi convalidati».
— Quanto agli animali da compagnia, sono in vigore il Regolamento CE n. 576/2013,21 che stabilisce la disciplina per i movimenti degli animali da compagnia a scopi di polizia sanitaria per la tutela della salute pubblica e animale, e il Regolamento CE n. 577/2013.22
— Nel Regolamento CE n. 625/2017,23 Il pericolo, che nel precedente Regolamento CE n. 178/2002, veniva riferito esclusivamente alla salute umana, viene invece definito come «qualsiasi agente o condizione avente potenziali effetti nocivi sulla salute umana, animale o vegetale, sul benessere degli animali o sull’ambiente». Un cambiamento radicale.24 D’altronde nel Considerando 1 il Regolamento premette che «il trattato sul funzionamento dell’Unione europea (T.F.U.E.) stabilisce che nella definizione e nell’attuazione delle politiche e delle attività dell’Unione sia garantito un elevato livello di protezione della salute umana e animale nonché dell’ambiente», e nel Considerando 7 afferma che «l’articolo 13 T.F.U.E. riconosce che gli animali sono esseri senzienti. La legislazione dell’Unione in materia di benessere degli animali impone a proprietari e detentori di animali e alle autorità competenti di rispettare gli obblighi in materia di benessere degli animali al fine di garantire loro un trattamento umano e di evitare di cagionare loro dolore e sofferenze inutili. Tali norme sono basate su prove scientifiche e possono migliorare la qualità e la sicurezza degli alimenti di origine animale».
— La Direttiva 98/58/CE del 20 luglio 1998,25 prevede che «gli Stati membri provvedono affinché i proprietari o i custodi [n.d.r. degli allevamenti] adottino le misure adeguate per garantire il benessere dei propri animali e per far sì che a detti animali non vengano provocati dolori, sofferenze o lesioni inutili» (articolo 3), nell’Allegato si prevede che «gli animali malati o feriti devono ricevere immediatamente un trattamento appropriato» (n. 4), «la libertà di movimento propria dell’animale, in funzione della sua specie e secondo l’esperienza acquisita e le conoscenze scientifiche, non deve essere limitata in modo tale da causargli inutili sofferenze o lesioni. Allorché è continuamente o regolarmente legato, incatenato o trattenuto, l’animale deve poter disporre di uno spazio adeguato alle sue esigenze fisiologiche ed etologiche, secondo l’esperienza acquisita e le conoscenze scientifiche» (n. 7), «la circolazione dell’aria, la quantità di polvere, la temperatura, l’umidità relativa dell’aria e le concentrazioni di gas devono essere mantenute entro limiti non dannosi per gli animali» (n. 10), «gli animali custoditi nei fabbricati non devono essere tenuti costantemente al buio o esposti ad illuminazione artificiale senza un adeguato periodo di riposo. Se la luce naturale disponibile è insufficiente a soddisfare le esigenze comportamentali e fisiologiche degli animali, occorre provvedere ad una adeguata illuminazione artificiale» (n. 11), «nessun animale deve essere custodito in un allevamento se non sia ragionevole attendersi, in base al suo genotipo o fenotipo, che ciò possa avvenire senza effetti negativi sulla sua salute o sul suo benessere» (n. 21). Queste e altre misure mirano a garantire una qualità della vivibilità dell’ambiente per gli animali.
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— La Direttiva 2010/63/UE del 22 settembre 201026 sembra essere l’unica al mondo che si pone come obiettivo finale la piena sostituzione dell’uso degli animali a fini scientifici.27 Nelle premesse si rileva che «sono disponibili nuove conoscenze scientifiche per quanto riguarda i fattori che influenzano il benessere degli animali e la capacità degli animali di percepire ed esprimere dolore, sofferenza, angoscia e danni duraturi. È pertanto necessario migliorare il benessere degli animali utilizzati nelle procedure scientifiche innalzando le norme minime per la loro protezione in linea con i più recenti sviluppi scientifici» (n. 6), «la presente direttiva dovrebbe riguardare anche le forme fetali di mammiferi, in quanto vi sono prove scientifiche che dimostrano che tali forme nell’ultimo terzo del periodo del loro sviluppo sono a maggior rischio di provare dolore, sofferenza e angoscia, che possono anche influire negativamente sul loro successivo sviluppo. Le prove scientifiche dimostrano inoltre che le procedure eseguite su forme embrionali e fetali in una fase iniziale dello sviluppo potrebbero provocare dolore, sofferenza, angoscia o danni duraturi» (n. 9), «gli animali hanno un valore intrinseco che deve essere rispettato. Vi sono anche le preoccupazioni etiche del pubblico in generale per quanto riguarda l’uso degli animali nelle procedure. Pertanto, gli animali dovrebbero sempre essere trattati come creature senzienti e il loro uso nelle procedure dovrebbe essere limitato alle aree che possono in ultima analisi giovare alla salute umana o animale o all’ambiente. L’uso di animali a fini scientifici o educativi dovrebbe pertanto essere preso in considerazione solo qualora non sia disponibile un’alternativa non animale» (n. 12), «l’uso di metodi inappropriati per uccidere un animale può causare dolore, angoscia e sofferenza significativi all’animale» (n. 15), «per migliorare la trasparenza, facilitare l’autorizzazione del progetto e fornire strumenti per monitorare la conformità, è opportuno introdurre una classificazione di gravità delle procedure sulla base dei livelli stimati di dolore, sofferenza, angoscia e danno duraturo inflitto agli animali» (n. 22), «da un punto di vista etico, ci dovrebbe essere un limite massimo di dolore, sofferenza e angoscia al di sopra del quale gli animali non dovrebbero essere sottoposti nelle procedure scientifiche. A tal fine, dovrebbe essere vietata l’esecuzione di procedure che provocano forti dolori, sofferenze o angoscia, che possono essere di lunga durata e non possono essere migliorate» (n. 23), «per garantire il monitoraggio continuo delle esigenze in materia di benessere degli animali, dovrebbero essere disponibili in ogni momento cure veterinarie adeguate e un membro del personale dovrebbe essere responsabile della cura e del benessere degli animali in ogni stabilimento» (n. 26), «nella detenzione, nell’allevamento e nell’uso degli animali si dovrebbe attribuire la massima priorità a considerazioni relative al benessere degli animali» (articolo 31).
Segue il testo vero e proprio della Direttiva la quale sancisce che «gli Stati membri provvedono affinché, ove possibile, al posto di una procedura sia utilizzato un metodo o una strategia di sperimentazione scientificamente soddisfacente che non comporti l’uso di animali vivi [...] Gli Stati membri assicurano il perfezionamento dell’allevamento, dell’alloggio e delle cure, nonché dei metodi utilizzati nelle procedure, eliminando o riducendo al minimo ogni possibile dolore, sofferenza, angoscia o danno duraturo agli animali» (articolo 3), «Gli Stati membri provvedono affinché gli animali siano abbattuti con il minimo dolore, sofferenza e angoscia» (articolo 6 c. 1), «Gli Stati membri provvedono affinché, a meno che ciò non sia inappropriato, le procedure siano eseguite in anestesia generale o locale e che sia utilizzata l’analgesia o un altro metodo appropriato per garantire che il dolore, la sofferenza e l’angoscia siano ridotti al minimo. Le procedure che comportano lesioni gravi che possono causare forti dolori non devono essere eseguite senza anestesia» (articolo 14 c. 1).
Quanto all’applicazione delle direttive in tema di tutela degli animali merita una menzione la decisione della Corte di Giustizia UE 21.5.1996, C-5/94,28 che ha sancito - con riferimento ad una fattispecie di trasporto di ovini vivi dalla Gran Bretagna alla Spagna - l’impossibilità di un controllo reciproco tra Stati sulla corretta applicazione delle direttive di armonizzazione in quanto «deve regnare fra gli Stati membri una fiducia reciproca per quanto concerne i controlli effettuati sul rispettivo territorio». Il che, ovviamente, determina una riduzione delle concrete possibilità di tutela degli animali. L’articolo 36 del Trattato T.F.U.E. non può «giustificare una limitazione delle esportazioni di merci in un altro Stato membro». In via interpretativa, pertanto, la logica del mercato e della circolazione delle merci prevale sul controllo per la tutela degli animali.
3. Unione europea: Risoluzioni
Rileva, infine, nel diritto derivato dell’Unione europea, la parte relativa a decisioni, raccomandazioni, pareri, risoluzioni, etcétera.29 A questo riguardo citiamo -in via esemplificativa- la Risoluzione30 del 3 maggio 201831 del Parlamento Europeo che, «Considerando che l’Unione si è impegnata a promuovere il benessere degli animali, proteggendo nel contempo la salute umana e l’ambiente» (considerando D), «considerando che, secondo l’indagine Eurobarometro n. 442 del marzo 2016,32 l’89% dei cittadini dell’Unione concorda nel ritenere che l’UE dovrebbe fare di più per promuovere una maggiore consapevolezza dell’importanza del benessere degli animali a livello internazionale, e il 90% dei cittadini dell’Unione concorda nel ritenere che è importante fissare norme elevate di benessere degli animali che siano riconosciute in tutto il mondo» (considerando J), «considerando che l’Unione dovrebbe impegnarsi maggiormente per integrare la promozione di elevati standard di benessere animale nell’ambito delle sue relazioni esterne» (considerando P), conclude così: «sollecita l’introduzione a livello mondiale, sulla base del modello del regolamento sui cosmetici, di un divieto sulla sperimentazione animale nel settore dei cosmetici e di un divieto sul commercio internazionale di ingredienti e prodotti cosmetici sperimentati sugli animali, che entrino in vigore prima del 2023».33
4. Consiglio d’Europa: Convenzioni
A questo punto differenziamo tra Unione Europea e Consiglio d’Europa. Quest’ultimo, infatti, non fa parte dell’Unione Europea, ma è un’organizzazione internazionale autonoma (nata nel 1949, attualmente composta da 46 membri, con sede a Strasburgo). Anche se gli Stati membri dell’Unione europea sono tutti membri del Consiglio d’Europa, le due organizzazioni sono totalmente distinte: l’Unione Europea, infatti, ha i propri Consiglio Europeo34 e Consiglio dei ministri dell’Unione Europea,35 distinti tra di loro ed estranei al Consiglio d’Europa.
Il Consiglio d’Europa36 è un’organizzazione internazionale che promuove Convenzioni a cui gli Stati membri possono o meno aderire,37 e rappresenta un riferimento sovranazionale oramai consolidato. Come vedremo nelle considerazioni conclusive, mediante un raffronto su circostanze specifiche, la sua disciplina presenta peraltro molti punti di contatto o di affinità con quella dell’Unione Europea. Verifichiamo ora i documenti più significativi rispetto al nostro tema.
— Nella Convenzione europea sulla protezione degli animali nel trasporto internazionale del 13 dicembre 196838 (Trattato n. 65, ratificato in Italia con L. 222/1973)39 in premessa il Consiglio afferma di essere animato «dal desiderio di evitare, per quanto possibile, qualsiasi sofferenza agli animali trasportati». La Convenzione richiede agli Stati di adottare «le necessarie misure affinché agli animali sia evitata o anche ridotta al minimo qualsiasi sofferenza» (articolo 1 c. 4), prevede che «prima di caricarli per un trasporto internazionale, gli animali devono essere ispezionati da un veterinario autorizzato del paese esportatore che riscontra la loro idoneità al trasporto» (articolo 3 c. 1), stabilisce che «gli animali che devono partorire nel periodo di trasporto o che hanno partorito meno di 48 ore prima dello stesso non devono essere considerati idonei al trasporto» (articolo 4), prevede che «il veterinario autorizzato del paese esportatore, del paese di transito o del paese importatore possono prescrivere un periodo di riposo, nel luogo che egli designa, durante cui agli animali saranno date le cure necessarie» (all’articolo 5), stabilisce che «gli animali devono disporre di uno spazio sufficiente e devono, salvo speciali indicazioni contrarie, potersi coricare» (articolo 6). Gli imballaggi per il trasporto degli animali devono «garantire la sicurezza degli animali» (articolo 6 c. 3), «durante il trasporto, gli animali devono essere abbeverati e ricevere un’alimentazione adeguata ad intervalli regolari» (articolo 6 c. 4), «gli animali non devono essere sollevati per la testa, le corna o le zampe, durante le operazioni di carico o di scarico» (articolo 8), per i trasporti lunghi di uccelli e conigli domestici «vanno messe a disposizione degli animali una nutrizione adeguata e, ove occorra, dell’acqua, in quantità sufficienti» (articolo 39 c. 3).
— La Convenzione europea sulla protezione degli animali negli allevamenti del 10 marzo 197640 (Trattato n. 87, ratificato in Italia con L. 623/1985)41 si ispira a «principi di protezione degli animali» (articolo 2) a partire dal fatto che «ogni animale deve beneficiare di un alloggio, di un’alimentazione e delle cure che - tenuto conto della sua specie e del suo grado di sviluppo, d’adattamento e di addomesticamento - sono appropriate ai suoi bisogni fisiologici e etologici, conformemente all’esperienza acquisita e alle conoscenze scientifiche» (articolo 3), prevede «la libertà di movimento propria dell’animale, tenuto conto della sua specie e conformemente all’esperienza acquisita e alle conoscenze scientifiche, non deve essere intralciata in modo da causargli sofferenze o danni inutili» (articolo 4 c. 1), che «l’illuminazione, la temperatura, il grado di umidità, la circolazione dell’aria, l’aerazione dell’alloggio dell’animale e le altre condizioni ambiente come la concentrazione dei gas o l’intensità del rumore devono -tenuto conto della sua specie, del suo grado di sviluppo, d’adattamento e di addomesticamento- essere appropriate ai suoi bisogni fisiologici e etologici, conformemente alle esperienze acquisite e alle conoscenze scientifiche» (articolo 5), che «nessun animale deve essere nutrito in modo da causargli sofferenze o danni inutili e la sua alimentazione non deve contenere sostanze che possano causargli sofferenze o danni inutili» (articolo 6), stabilisce che «la condizione e lo stato di salute dell’animale devono essere oggetto di un’ispezione approfondita ad intervalli sufficienti per evitargli sofferenze inutili, ossia almeno una volta il giorno nel caso di animali custoditi in sistemi moderni di allevamento intensivo. Gli impianti tecnici nei sistemi moderni di allevamento intensivo devono essere oggetto, almeno una volta al giorno, di un’ispezione approfondita e qualsiasi difetto costatato deve essere eliminato nei termini più brevi. Quando un difetto non può essere eliminato immediatamente, devono essere subito prese le misure temporanee necessarie per preservare il benessere degli animali» (articolo 7).
— La Convenzione europea sulla protezione degli animali da macello del 10 maggio 197942 (Trattato n. 102,43 ratificato in Italia con L. 623/1985),44 nelle premesse recita: «tenuto conto dell’opportunità di assicurare la protezione degli animali destinati all’abbattimento», e «tenuto conto che i metodi di abbattimento che risparmiano nei limiti del possibile agli animali sofferenze e dolori devono avere un’applicazione uniforme nei rispettivi Paesi». Nell’articolato si legge che nell’attivazione dei mattatoi ci si deve muovere «al fine di evitare, nella massima misura possibile, di provocare eccitazioni, dolori o sofferenze agli animali» (articolo 2 c. 3) e che «ciascuna Parte contraente vigila per risparmiare agli animali abbattuti nei mattatoi o fuori di essi qualsiasi dolore o sofferenze evitabili» (articolo 2 c. 4). Infatti, «è proibito schiacciare, torcere, spezzare la coda degli animali o colpirli agli occhi. I colpi inferti senza criterio, in particolare i calci, sono proibiti» (articolo 5 c. 2); «le condizioni e lo stato di salute degli animali devono costituire l’oggetto di un’ispezione da eseguirsi almeno due volte al giorno, mattina e sera» (articolo 9 c. 1).
— La Convenzione europea per la protezione degli animali da compagnia del 13 novembre 198745 (Trattato n. 125, ratificato in Italia con L. 201/2010),46 nel Preambolo recita: «Riconoscendo che l’uomo ha l’obbligo morale di rispettare tutte le creature viventi e in considerazione dei particolari vincoli esistenti tra l’uomo e gli animali da compagnia; Considerando l’importanza degli animali da compagnia a causa del contributo che essi forniscono alla qualità della vita e dunque il loro valore per la società [...] Considerando che una norma fondamentale comune di comportamento e di prassi che porti ad una condotta responsabile da parte dei proprietari degli animali da compagnia sia un obiettivo non solo auspicabile ma anche realistico» e «nessuno causerà inutilmente dolori, sofferenze o angosce ad un animale da compagnia. Nessuno deve abbandonare un animale da compagnia» (articolo 3), «Ogni persona che tenga un animale da compagnia o che abbia accettato di occuparsene sarà responsabile della sua salute e del suo benessere. Ogni persona che tenga un animale da compagnia o se ne occupi, deve provvedere alla sua collocazione e fornirgli cure e attenzione, tenendo conto dei suoi bisogni etologici secondo la sua specie e la sua razza ed in particolare: a) rifornirlo in quantità sufficiente di cibo e di acqua di sua convenienza; b) procurargli adeguate possibilità di esercizio; c) prendere tutti i ragionevoli provvedimenti per impedire che fugga» (articolo 4), quanto all’addestramento «nessun animale da compagnia deve essere addestrato con metodi che possono danneggiare la sua salute ed il suo benessere, in particolare costringendo l’animale ad oltrepassare le sue capacità o la sua forza naturale, o utilizzando mezzi artificiali che causano ferite o dolori, sofferenze ed angosce inutili» (articolo 7), «gli interventi chirurgici destinati a modificare l’aspetto di un animale da compagnia, o finalizzati ad altri scopi non curativi debbono essere vietati, in particolare: a) il taglio della coda; b) il taglio delle orecchie; c) la recisione delle corde vocali; d) l’esportazione delle unghie e dei denti» (articolo 10), prevede infine che «solo un veterinario o altra persona competente deve procedere all’uccisione di un animale da compagnia, tranne che in casi di urgenza per porre fine alle sofferenze di un animale e qualora non si possa ottenere rapidamente l’assistenza di un veterinario o di altra persona competente, o in ogni altro caso di emergenza configurato dalla legislazione nazionale. Ogni uccisione deve essere effettuata con il minimo di sofferenze fisiche e morali in considerazione delle circostanze. Il metodo prescelto, tranne che in casi di urgenza, deve: a) sia indurre una perdita di coscienza immediata e successivamente la morte; b) sia iniziare con la somministrazione di un’anestesia generale profonda seguita da un procedimento che arrechi la morte in maniera certa. La persona responsabile dell’uccisione deve accertarsi della morte dell’animale prima di eliminarne la spoglia».47
III. Considerazioni final
Vediamo quali elementi possiamo porre in luce, in via di prima e sommaria riflessione, per un’analisi della disciplina riportata.
Anzitutto, una considerazione preliminare. Con riferimento all’Unione Europea, vero è che «la Comunità nasceva come ente posto a tutela del mercato, sicché è inevitabile che quelli che sono stati storicamente soggetti passivi delle attività economiche, quali gli animali, entrino nella considerazione del diritto europeo quasi esclusivamente per la loro valenza economica negli scambi».48 Ad es., il benessere animale -a livello comunitario- non era, in principio (e in parte è così ancora oggi, in un quadro generale di ambivalenza, come approfondiremo nel seguito), un fine in sé, centrato a vantaggio dell’animale medesimo, ma risultava strumentale a obiettivi umani.49 Ma nel panorama globale, l’Europa si è comunque fatta progressivamente portatrice di uno spirito di maggiore sensibilità e tutela verso gli animali, compresa la valorizzazione del loro benessere (al punto che oggi, secondo alcuni autori, la prospettiva è mutata).50
Anzi, proprio il vocabolo «benessere», affiancatosi ai temi tradizionali della salvaguardia delle specie e della protezione della salute, individua un ambito di tutela che si è recentemente consolidato. Seppure a livello giuridico internazionale risulti ancora dotato di «fonti [...] frammentarie e sparute»,51 in ambito europeo -invece- il quadro si presenta più definito e tutelante.52 Non possiamo non rilevare, tuttavia, come la prospettiva che orienta il benessere animale sia di matrice antropocentrica.53
A riguardo di questo tema possiamo svolgere due considerazioni sui profili di novità che presenta oggi il concetto di benessere a livello sovranazionale.
Alla luce della Decisione 25.11.2013 dell’Organizzazione Mondiale del Commercio54 e della sostanziale conferma dell’Organo di appello con la Decisione del 22.5.2014,55 «ora è acclarato che la protezione del benessere animale per ragioni morali può costituire un motivo legittimo di restrizione del commercio internazionale»56: è stato infatti confermato che l’adozione del Regolamento CE 1007/2009,57 contestata da Canada e Norvegia, doveva ritenersi giustificata sulla base della protezione della moralità pubblica (poiché -come recita il considerando 1- le foche «sono esseri senzienti che possono provare dolore, angoscia, paura e altre forme di sofferenza»).
Possiamo inoltre ritenere, alla luce di alcune decisioni della Corte di Giustizia U.E. (in particolare, cfr. 28.10.2021, C-357/20)58 che il parametro della tutela del benessere animale rappresenti oramai un «canone decisorio di portata generale»,59 non legato al singolo esemplare ma alla conservazione degli equilibri di specie nell’utilizzo delle risorse naturali.
In secondo luogo, i brani citati estrapolati dal contesto possono apparire di una incisività eccessiva rispetto alla loro reale portata se contestualizzati nel tenore complessivo dei testi normativi in cui sono incorniciati da precisazioni e deroghe che ne mitigano l’impatto. Anzi, che talvolta stravolgono completamente quello che può essere il significato apparente degli estratti, esplicitando come l’obiettivo non sia (o non sia soltanto) il benessere animale in sé, per l’appunto, ma come piuttosto detto benessere risulti asservito ai traguardi del mercato e della sicurezza alimentare umana (ossia risulti obiettivo secondario funzionale ad altri obiettivi primari).60
Ciò a partire dall’articolo 13 del T.F.U.E. che abbiamo citato nell’estratto significativo «l’Unione e gli Stati membri tengono pienamente conto delle esigenze in materia di benessere degli animali in quanto esseri senzienti», ma che, se completiamo la citazione, prosegue dicendo: «rispettando nel contempo le disposizioni legislative o amministrative e le consuetudini degli Stati membri per quanto riguarda, in particolare, i riti religiosi, le tradizioni culturali e il patrimonio regionale». Par chiaro l’esito riduttivo sulla tutela per il benessere animale.
Ma l’esempio magistrale si rinviene nell’estratto del Regolamento n. 1099/2009 del Consiglio dell’Unione Europea quando al considerando 2 rileva che «l’abbattimento degli animali può provocare dolore, ansia, paura o sofferenze di altro tipo agli animali» e, al successivo considerando 4, nell’affermare che «il benessere animale è un valore condiviso nella comunità», specifica tuttavia che «la protezione degli animali durante la macellazione o l’abbattimento è una questione di interesse pubblico che incide sull’atteggiamento del consumatore nei confronti dei prodotti agricoli. Una migliore protezione degli animali durante la macellazione contribuisce inoltre a migliorare la qualità della carne e indirettamente produce un impatto positivo sulla sicurezza del lavoro nei macelli». Ovviamente, dalla lettura d’insieme, risulta totalmente travisata la prospettiva che, deduttivamente, potremmo leggere isolando ed estrapolando il considerando 2 o la sola prima parte del considerando 4. Solo la visione d’insieme, la lettura integrale, ci restituisce il dato reale.
Un precedente del medesimo tenore lo ritroviamo anche presso il Consiglio d’Europa. Nella Convenzione europea sulla protezione degli animali da macello del 10 maggio 1979, infatti, si legge «tenuto conto che i metodi di abbattimento che risparmiano nei limiti del possibile agli animali sofferenze e dolori devono avere un’applicazione uniforme nei rispettivi Paesi», ma il paragrafo successivo recita: «tenuto conto che la paura, la tensione, i dolori e le sofferenze di un animale al momento dell’abbattimento rischiano di influenzare la qualità della carne».
Quindi, sotto questo profilo, Unione Europea e Consiglio d’Europa paiono muoversi allineati negli obiettivi.
Si può altresì notare come di frequente i sostantivi espressivi di una condizione negativa cagionata agli animali (es. «dolore», «sofferenza», «lesioni») risultino aggettivati in modo da limitare la portata dei divieti di tutela.
In via esemplificativa presso l’Unione Europea: dolori, sofferenze e lesioni non devono essere «inutili» (Direttiva 98/58/CE del 20 luglio 1998 -quindi sono ammissibili se utili?); dolori, ansia e sofferenze non devono essere «evitabili» (Regolamento CE n. 1099/2009 -quindi sono ammissibili se inevitabili?); il danno indotto nell’allevamento degli animali per sperimentazione scientifica non deve essere «duraturo» (Direttiva 2010/63/UE del 22 settembre 2010- quindi è ammissibile il danno temporaneo?) e parimenti si possono provocare «lesioni gravi» purché la procedura sia praticata in «anestesia».
Anche presso il Consiglio d’Europa valgono le medesime considerazioni. Negli allevamenti sofferenze e danni non devono essere «inutili» (Convenzione europea sulla protezione degli animali negli allevamenti del 10 marzo 1976, Trattato n. 87 -quindi sono ammissibili se utili?); i metodi di abbattimento degli animali da macello devono risparmiare sofferenze e dolori «nei limiti del possibile» e non devono essere imposti dolori o sofferenze «evitabili» (Convenzione europea sulla protezione degli animali da macello del 10 maggio 1979, Trattato n. 102 -quindi sono ammissibili se inevitabili?); l’addestramento degli animali da compagnia non deve cagionare ferite, dolori, sofferenze, angosce «inutili» (Convenzione europea per la protezione degli animali da compagnia del 13 novembre 1987, Trattato n. 125- quindi sono ammissibili se utili?).
Anche questo orientamento linguistico (che, ovviamente, risponde ad una precisa intenzionalità) provoca una riduzione della portata di tutela delle disposizioni e trova consonanza nei documenti di Unione Europea e Consiglio d’Europa.
Compare di frequente, inoltre, come motore che aziona l’intervento di disciplina comunitaria, la «preoccupazione pubblica»,61 ossia il riscontro della sensibilità dei cittadini che fa da puntiglio per l’Unione Europea. Quindi, ci si pone in un’ottica sociologica: se un tema è importante per le persone, se emerge che viene avvertito come prioritario dalla rilevazione dei dati socio-culturali, allora va affrontato. Per non lasciare spazi di deregulation e per pacificare le apprensioni dei cittadini.
A tal riguardo occorre tenere conto che di frequente l’opinione pubblica viene «fortemente condizionata da ragioni di natura emotiva»,62 più che dai reali dati scientifici sulle conoscenze che abbiamo con riguardo alle singole specie animali.
Pare tuttavia che la preoccupazione dell’Unione Europea non sia sovrapponibile a quella dei cittadini. Mentre questi ultimi ispirano le loro aspettative -potremmo dire- alla dignità degli animali,63 per impedire, ad es., l’inflizione di una sofferenza a esseri viventi in grado di provarla, l’Unione Europea pare maggiormente propensa a sedare tale preoccupazione ma per perseguire altri obiettivi: quelli del mercato alimentare. Sicurezza e benessere degli animali e della loro qualità di vita, sono di frequente finalizzati al buon funzionamento del mercato.
Infine, è usuale che il dettato preveda una clausola di chiusura in cui si afferma che gli Stati possono applicare disposizioni più severe, ponendo pertanto la disciplina comunitaria come basica, ossia limite minimo di tutela.64 Come se l’Europa si ponesse quale minimo comune denominatore e lasciasse ai singoli Stati il ruolo di avanguardia, di apripista. L’Unione Europea e il Consiglio d’Europa vogliono essere un punto di equilibrio. O, forse, vuole anche spronare i singoli Stati, affinché siano direttamente loro a farsi portatori di uno sviluppo di queste sensibilità diffuse.
Aggiungo una considerazione ulteriore, che mi pare centrale. Emerge l’insostenibilità di un concetto unitario di “animale”, quale categoria generale e astratta rispetto ad una realtà concreta fatta di differenze empiriche. Le disposizioni normative sovranazionali, se mai ve ne fosse stato bisogno, smascherano la pluralità del vivente. Non esiste l’animale, vocabolo unitario e onnicomprensivo, ma tante diverse specie animali con proprie caratteristiche ed esigenze di tutela. Quando si parla di «animale» si intende sempre una specifica categoria di animali, non “l’animale” in sé. Gli esempi possibili sono moltissimi.65
Ma, a ben vedere, non è la specie in sé a fare la differenza,66 in base alle reali caratteristiche dell’animale, ma piuttosto la categoria giuridica in cui detta specie risulta inserita.67 E questa classificazione può tenere conto anche della “percezione” della cittadinanza, quindi non di un dato scientifico biologico ma di un formante culturale e sociologico (es. leggasi al considerando 1 del Regolamento CE n. 1523/2007 ove si afferma che «nella percezione dei cittadini dell’Unione europea, cani e gatti sono considerati animali da compagnia, per cui non è accettabile...»).
Gli animali, infatti, vengono tutelati come specie proprio in base alla disciplina normativa -per categorie giuridiche (quindi convenzionali)- che li differenzia gli uni dagli altri. Ad es., con riferimento alla normativa italiana (ma vale parimenti per la disciplina sovranazionale a cui gli ordinamenti dei singoli stati si ispirano e si conformano): cani e gatti quali «animali d’affezione»,68 galline ovaiole - Gallus gallus,69 e suini70 quali «animali d’allevamento»; lupo -Canis lupus, e orso- Ursus arctos, quali «animali selvatici».71
Al punto che l’Unione Europea ha previsto protezioni particolari per alcune specie animali (cfr., ad es., il Regolamento CE n. 1007/2009 per le foche, poi riformato dal Regolamento CE n. 1775/2015).72
Nella normativa sovranazionale si trovano quindi tracce di «specismo infranimale».73 Ciò accade, ad es., in tema di sperimentazione animale con la differenziazione prevista per i primati (Direttiva n. 2010/63/UE74 che, al considerando 17, stabilisce che il loro utilizzo possa venire giustificato solo ed esclusivamente per scopi di conservazione della specie o per ricerca biomedica su malattie umani invalidanti o mortali). Anche la scissione tra specie animali oggetto di caccia e specie escluse, quindi oggetto di protezione (cfr., ad es., Direttiva 79/409/CE75 del Consiglio UE e Direttiva 92/43/CE76 del Consiglio UE, i due pilastri della disciplina comunitaria in materia), determina il medesimo risultato: alcune specie godono di un livello di protezione superiore, altre non vedono salvaguardato neppure il loro diritto fondamentale alla vita.
Vi è poi la possibilità, prevista dalla stessa Unione Europea, di un trattamento differente delle medesime specie animali a seconda dello stato membro in cui ci si trova ad operare. Accade così, ad es., per la macellazione rituale poiché la regola generale è la deroga all’obbligo di stordimento, ma una sentenza della Corte di Giustizia UE77 ha sancito il diritto, nel rispetto del principio di sussidiarietà, di adottare norme nazionali (nel caso di specie lo aveva fatto la regione delle Fiandre in Belgio) che prevedano una protezione maggiore per gli animali, ad es. con l’obbligo di stordimento dell’animale anche in caso di macellazione rituale.78
Si rileva, inoltre, come alcuni animali possano essere inquadrati in più categorie (ad es. i conigli),79 determinando una difficoltà di coordinamento tra disciplina giuridica e realtà empirica.
Ancora: emerge la rilevanza assunta nel corso del tempo dalla senzienza, come criterio di discrimine per la tutela giuridica. Se il dato scientifico conferma la capacità di una specie animale di provare -ad es.- percezioni / sensazioni, piacere o dolore, questo non può che incidere sulle valutazioni relative a forme di protezione e garanzia. Un concetto, tuttavia, quello di senzienza che ha vissuto, nel tempo - un iter di variazione molto significativo.80
Interessante riscontrare il permanere -nei documenti sovranazionali ufficiali vigenti- della locuzione «animale da compagnia», diversamente da quanto sta accadendo in alcuni Stati europei in cui essa è stata sostituita da «animale d’affezione» (ad es. presso la normativa e la giurisprudenza italiane dell’ultimo decennio), atteso che compagnia e affezione non sono concetti intercambiabili poiché presentano un campo semantico affine ma non sovrapponibile.
A livello definitorio, poi, il Consiglio d’Europa per animale da compagnia «intende ogni animale tenuto, o destinato ad essere tenuto dall’uomo, in particolare presso il suo alloggio domestico, per suo diletto e compagnia» (Convenzione europea per la protezione degli animali da compagnia del 13 novembre 1987, Trattato n. 125).
L’Unione Europea, invece, ne propone una definizione più restrittiva e -nella comparazione tra i diversi documenti- non completamente omogenea. Animale da compagnia è «un animale di una specie elencata nell’allegato I»81 (Regolamento CE n. 576/2013, e parimenti il Regolamento 577/2013) e, successivamente, «delle specie elencate nell’allegato I, tenuto a fini privati non commerciali»82 (Regolamento CE n. 429/2016). I due elenchi, di cui ai relativi allegati, sono simili ma non identici. Nel Regolamento CE n. 1523/2007 si considerano invece quali animali da compagnia «cani e gatti».
L’estensione definitoria del concetto di «animale da compagnia» pare pertanto ancora necessitante di trovare una soluzione unanimemente condivisa.
Le precedenti considerazioni, tuttavia, non escludono che si possa percepire -in ambito sovranazionale europeo- una progressione nel tempo di attenzioni, cure e tutele verso gli animali. Il percorso che si legge tra le righe procede in questa direzione.
E, soprattutto, risulta pacifica la consapevolezza che gli animali -secondo il dato testuale del diritto sovranazionale europeo, con espressioni più volte ripetute nei vari documenti normativi (che qui riprendiamo e concentriamo in un impasto finale riassuntivo)- sono «esseri senzienti» dotati di «valore intrinseco che deve essere rispettato», possono infatti provare «stress», «dolore», «ansia», «paura», «angoscia» e «sofferenze fisiche e morali», e occorre averne «cura» per salvaguardare la loro «sicurezza», la loro «salute» e il loro «benessere» (addirittura si riconosce la senzienza ai mammiferi in fase embrionale e fetale). A tal riguardo -riprendendo in sintesi il lessico dei documenti analizzati- vengono previste specifiche tutele, come vivere ed essere trasportati in condizioni appropriate ai loro «bisogni fisiologici ed etologici», in base al loro «genotipo o fenotipo», «tenuto conto della [...] specie, del [...] grado di sviluppo, d’adattamento e di addomesticamento» in base «all’esperienza acquisita e alle conoscenze scientifiche», quindi poter «disporre di uno spazio sufficiente», «potersi coricare», beneficiare di un «adeguato periodo di riposo», avere a disposizione una «nutrizione adeguata», «libertà di movimento». Vengono protetti nelle loro caratteristiche somatiche, proibendo -in via esemplificativa- di «schiacciare, torcere, spezzare la coda», inoltre è fatto divieto del «taglio delle orecchie», della «recisione delle corde vocali», della rimozione «delle unghie e dei denti». Occorre, infine, considerare i «particolari vincoli esistenti tra l’uomo e gli animali da compagnia», per la cui soppressione -ad es.- è previsto di indurre nell’animale la «perdita di coscienza» e di somministrargli una «anestesia generale».
Peraltro il dibattito filosofico-giuridico, e parimenti gli sviluppi socio-culturali, paiono talmente avanzati da richiedere una revisione complessiva della normativa sovranazionale europea, di talché molti auspici muovono in questa direzione. Al punto che la Commissione dell’Unione Europea ha posto in agenda l’obiettivo di redigere una nuova disciplina coordinata in tema di animali entro la fine del 2023. Nel centro del mirino sono posti, in particolare, alcuni obiettivi, tra cui: la possibilità di un ampliamento delle specie tutelate, includendo animali oggi non ricompresi nel perimetro normativo (ad es. mucche, tacchini, conigli, oche, anatre...); la possibilità di porre divieto all’uso di gabbie negli allevamenti europei,83 la possibilità di abolire pratiche di stordimento che inducono sofferenza negli animali (es. la stordimento dei polli con bagnamento elettrificato); la possibilità di imporre criteri di maggiore trasparenza per l’etichettatura degli animali.84
L’analisi d’insieme formulata in questo scritto, pertanto, questo quadro riepilogativo, potrebbe presto diventare un museo d’ombre, con scopi rammemorativi: non punto d’arrivo ma di partenza.