Sommario: I. Introduzione. II. La specificazione della discipli-na sui partiti. III. La democrazia interna dei partiti. IV. Rifles-sioni conclusive.
I. Introduzione
Il sistema dei partiti in Messico si rileva abbastanza complesso e meriterebbe uno studio particolarmente approfondito. Più umilmente questo lavoro intende mettere in luce alcuni aspetti che sembrano meritevoli di attenzione soprattutto dal punto di vista del diritto comparato.1
L’analisi non può che prendere le mosse dal testo costituzionale e dalla legislazione attuativa dei suoi disposti. Sulla base di questa ricognizione, sembra di poter anticipare alcune conclusioni, come quella che ci induce ad affermare che il sistema politico-elettorale messicano è particolarmente accentrato e in qualche modo “bloccato”. Al fine di dare conto di queste affermazioni, verrà posto attenzione su alcuni profili, segnatamente il ruolo delle autorità federali e il sistema dei controlli.
II. La specificazione della disciplina sui partiti
In primo luogo, balza subito agli occhi il fatto che vi sia una pluralità di fonti che disciplina il sistema dei partiti. Infatti, si possono annoverare: le norme costituzionali (art. 41 I-IV Const.), la ley general de Instituciones y procedimientos electorales, la ley general de los partidos políticos, la ley general en materia de delitos electorales e la ley general del sistema de impugnación en materia electoral, gli Acuerdos del Consejo Federal del INE e, infine, la giurisprudenza del Tribunal electoral del poder judicial de la Federación.
Emerge, immediatamente un aspetto e cioè che l’attività dei partiti è regolata da un florilegio di atti di diversa forza giuridica, che nel loro insieme disegnano un quadro normativo specifico e dettagliato che lascia spazi residuali minimi all’autonomia organizzativa delle compagini politiche.
Questa affermazione si basa sull’esistenza di una stratificazione di interventi normativi comprensibili alla luce delle vicende storico-istituzionali del paese, che hanno favorito una evoluzione in tal senso.
Il punto di partenza, da un punto di vista storico, non è distante da quello che ha dato avvio alle vicende costituzionali coeve. La Costituzione del 1917, infatti, non faceva alcun riferimento alle formazioni politiche e questo è conferente con le coordinate fondamentali delle incipienti forme di stato liberali, che collocavano i partiti nell’alveo delle associazioni. Il Messico non si allontana da questo schema e le uniche indicazioni riguardo alle formazioni politiche concernevano il divieto per i partiti di darsi nomi religiosi o di ispirarsi a fedi religiose o appartenenze razziali.
La prima riforma costituzionale che muta il quadro di insieme è quella del 1977, con la quale i partiti vengono riconosciuti come “entidades de derecho público”. La scelta del legislatore di revisione è chiara: i partiti non sono più organizzazioni private ma acquisiscono personalità giuridica pubblica e ciò legittima la crescente e incisiva regolazione da parte dello Stato delle formazioni politiche, le quali rappresentano organizzazioni intermedie fra i cittadini e lo Stato.
A partire da questo periodo, il testo costituzionale ha subito centinaia di riforme e una parte di queste ha riguardato proprio il tema dei partiti, oltre che le riforme elettorali.2 Il risultato è stato quello di inserire un numero cospicuo di disposizioni finalizzate a una disciplina assai specifica, la cui tecnica redazionale è più simile a quella utilizzata per le fonti regolamentari che per quelle costituzionali.
L’iperegolazione rilevata investe molteplici profili; spicca, ad esempio, il tema dell’accesso ai mezzi di comunicazione da parte dei candidati. Questo ambito materiale è stato introdotto nel testo costituzionale con la riforma del 2007 e successivamente il legislatore di revisione è intervenuto con la legge del 10 febbraio 2014. In primis, si sottolinea come questo settore trovi la sua disciplina puntuale nel testo costituzionale e non in una fonte legale, come nella maggioranza degli ordinamenti occidentali.
Da un punto di vista sostanziale, viene stabilita la piena e permanente accessibilità dei partiti nazionali ai mezzi di comunicazione, in questo modo, il legislatore di revisione ha voluto costituire un tassello importante, garantendo alle formazioni politiche un diritto di informazione e comunicazione. Tuttavia, questa libertà è significativamente limitata nei periodi di precampagna e campagna elettorale. Infatti, per questa finestra temporale risulta centrale il ruolo dell’Instituto Nacional Electoral (INE), che in base all’art. 41, II apartado A della Costituzione, è l’istituzione competente ad attribuire ai singoli partiti il tempo destinato alla propaganda e all’informazione politica. L’INE in questa sua opera di ripartizione non ha discrezionalità assoluta ma deve ottemperare a quanto indicato in Costituzione. Quest’ultima nella definizione del tempo, stabilisce che, dal periodo della precampagna elettorale fino al giorno delle elezioni, il 30% del tempo disponibile è assegnato in parti eguali a ciascun partito e deve comprendere anche una frazione riservata a tutti i candidati indipendenti; la restante percentuale del 70% viene assegnata ai partiti sulla base dei risultati ottenuti nelle precedenti elezioni.3
Tale regola evidenzia due elementi che sembrano essere ricorrenti nel sistema dei partiti messicano: un processo di centralizzazione nelle operazioni elettorali posto in carico all’INE e un insieme di prescrizioni, che intende privilegiare i partiti già consolidati e scoraggiare le candidature indipendenti.4 Infatti, nuovi partiti e candidati non inquadrati in formazioni politiche possono accedere solo alla quota fissa riservata nelle trasmissioni radiotelevisive e, pertanto, sono in grado di acquisire spazi limitati di visibilità nel periodo antecedente alle elezioni.
L’intera disciplina, quindi, sembra essere finalizzata a garantire la massima libertà agli elettori nelle scelte politiche, garantendo a tutti i candidati un accesso basato su regole certe, predeterminate e trasparenti, in modo da prevenire la costituzione di privilegi di potenziali eletti, che possono disporre di ingenti risorse economiche o catene radiotelevisive compiacenti;5 tant’è che al fine di non alterare le condizioni di equilibrio nell’accesso ai media, la Costituzione aggiunge che è fatto divieto a terzi di acquisire spazi radio-televisivi per conto dei partiti.6
Tuttavia, alcune censure possono essere mosse al criterio che lega la presenza nei mezzi di comunicazione dei partiti ai loro esiti realizzati nelle precedenti elezioni. Certamente la normativa vuole assicurare una visibilità proporzionale al consenso politico e inoltre, esclude che la disponibilità di ingenti risorse economiche possa alterare le regole della competizione politica, sottoponendo tutti i competitori a regole precise. Tuttavia, questo certamente non agevola a rendere il panorama partitico più articolato o fluido; al contrario, non viene manifestato un certo favore per gli outsiders che si affacciano sulla scena politica.7
In merito, però, al tema della comunicazione e propaganda politica,8 preme segnalare un aspetto su cui potrebbe valere la pena riflettere e che riguarda l’accesso ai social networks. Sembra, infatti, assodato che oramai le strategie di comunicazione (anche politica) transitino da altri strumenti come quelli delle piattaforme social.9 Il cyberspazio sembra aver acquisito ormai una rilevanza di primo piano e c’è una diffusa consapevolezza dell’estrema difficoltà nel porre limiti alla libertà di espressione veicolata attraverso questi nuovi strumenti.
Gli ultimi anni hanno mostrato come le campagne elettorali possano essere orientate -se non manipolate dalla circolazione di notizie false- la cui eco viene amplificata proprio dal web. Tuttavia, nonostante l’ordinamento messicano si è sempre mostrato ricettizio rispetto alle grandi questioni in ambito elettorale, non sono state approvate normative in tal senso. Questo aspetto, però, non può essere classificato come deficitario, perché il diritto comparato mostra tutta la scivolosità e la vischiosità di queste tematiche.10 Infatti, è molto arduo trovare risposte adeguate perché se qualifichiamo le fake news come modalità espressive, l’unica strada può essere quello di verificare la sussistenza dei requisiti per la diffamazione,11 di cui può essere responsabile un candidato, però se i veicoli di trasmissione sono le reti sociali attraverso l’azione di terzi non vincolati formalmente a un partito, si rende necessario trovare dei mezzi di collaborazione con le piattaforme, in quanto risulta difficile immaginare l’emissione di sanzioni nei confronti di queste ultime.12
Una soluzione a questa incipiente problematica può essere trovata solo con la leale collaborazione fra i partiti o forse più opportunamente nell’ordinamento internazionale in assenza di discipline legali ad hoc. Sembra, infatti, recessiva l’ipotesi che i giudici possano utilizzare le disposizioni costituzionali, poiché è da registrare ancora una volta come proprio la tecnica di redazione del testo costituzionale messicano non sia d’aiuto nella risoluzione di nuove sfide. Infatti, la tendenza all’iperegolazione e alla specificazione finisce per far assumere ai disposti della carta fondamentale un contenuto di rango regolamentare (v. supra); rifuggendo la disciplina per principi, nessuna disposizione sul tema dell’accesso ai mezzi di comunicazione sociale può essere concretamente utilizzata per applicare una disciplina specifica sul tema e d’altra parte fino a questo momento anche le fonti legali hanno omesso di cimentarsi in questa sfida, testimoniando come un intervento normativo in tale ambito sia estremamente complesso.
Volgendo, invece, lo sguardo all’ordinamento internazionale, si può richiamare la Declaración conjunta en materia de libertad de expresión y noticias falsas, desinformación y propaganda, emitida por los relatores de libertad de expresión de la organización de las Naciones Unidas (ONU), de la Organización de Estados Americanos (OEA) y de la Organización para la Seguridad y la Cooperación en Europa (OSCE), adottata a Vienna il 3 marzo 2017;13 inoltre, in questo senso, si testimonia anche una sensibilità della Comisión interamericana de los derechos humanos.14 L’apertura dell’ordinamento messicano alle fonti del diritto internazionale sancito dall’art. 133 può offrire una soluzione di sicuro rilievo e soprattutto può costituire una soluzione “ponte” fino a quando -e se- verrà adottata una disciplina in tal senso.15
Un altro aspetto in cui i poteri pubblici sono intervenuti con uno specifico atto normativo è quello del finanziamento ai partiti e delle spese elettorali. La disciplina è in linea con il principio di trasparenza che più volte è ribadito nel testo costituzionale e nella normativa elettorale e che costituisce un fondamento ineludibile della democrazia. In questa ottica, la Ley sobre los partidos políticos (art. 196) impone disposizioni particolarmente incisive in relazione ai finanziamenti e alle spese sostenute dai partiti.16 Questi ultimi sono tenuti, infatti, a predisporre informes dove sono indicati la quantità, l’origine e la destinazione delle risorse economiche. Non solo, l’Unidad tecnica de fiscalización -che è una struttura specializzata dell’INE- può richiedere alle formazioni politiche di documentare tutte le loro spese. Di particolare importanza riveste l’obbligo previsto per tutte le autorità e istituzioni pubbliche e private di rispondere a tutte le richieste che provengano dall’Unidad, senza che possa essere opposto il segreto bancario, fiscale o fiduciario. L’obbligo alla trasparenza però è ancora maggiore in quanto si estende anche a terzi, poiché l’art. 31, c. 2 della Ley sobre los partidos dispone che sia le informazioni relative all’assegnazione di fondi pubblici sui quali sono gravate le spese del partito, sia le donazioni compiute da soggetti privati alle formazioni politiche non possano essere escluse dal diritto di accesso. Infine, i partiti politici devono fornire sulla loro pagina web una serie di informazioni predefinite, in modo da consentire a ciascun elettore di acquisire la piena conoscibilità circa le loro risorse e beni disponibili. Anche in questo ambito, la giurisprudenza17 del Tribunale specializzato è intervenuta per fornire una esemplificazione delle informazioni che necessariamente devono essere pubbliche: i documenti fondamentali relativi al partito, le competenze degli organi di direzione, i regolamenti interni del partito, i diritti e i doveri degli iscritti, i rapporti annuali sulle entrate e le spese sia di quelle sostenute dal partito che dai singoli candidati, lo stato patrimoniale e l’inventario dei beni immobili.
Controllo sul finanziamento ai partiti e stretta vigilanza sul rispetto degli spazi radiotelevisivi attribuiti ai candidati sono sicuramente i settori che l’ordinamento ha ritenuto strategici per garantire legalità e parità di accesso alle cariche elettive. Infatti, l’art. 41, parr. II, Base VI, 3 parr. della Ley general de instituciones y procedimientos electorales indica come sia previsto l’annullamento delle elezioni e nuova indizione delle procedure elettorali, qualora il candidato abbia effettuato spese per la campagna elettorale superiori al 5% la quota disponibile ovvero abbiano fruito di finanziamenti illeciti o se si è verificato un utilizzo eccedente la porzione temporale determinata dall’INE nei canali radiotelevisivi.18 La sanzione prevista è particolarmente severa e testimonia l’importanza che viene accreditata ai due profili indicati al fine di non consentire di trarre giovamento da condotte e pratiche illegali.
L’analisi della legislazione sui partiti fornisce ulteriori indicazioni che contribuiscono a delineare un sistema che può definirsi “bloccato”. La disciplina non esprime un favor né verso la formazione di nuovi partiti, né nei confronti delle candidature indipendenti. Le nuove formazioni partitiche che intendono presentarsi alle elezioni devono sollecitare l’iscrizione al registro ma per fare ciò devono celebrare assemblee in almeno venti stati della repubblica o in duecento distretti elettorali e in ciascuna devono essere presenti rispettivamente 3000 o 300 persone, in nessun caso la somma di tutti i partecipanti deve essere inferiore allo 0,26% del patrón electoral. Inoltre, i partiti che non ottengono nelle elezioni almeno il 3% di voti, perdono la loro iscrizione al registro;19 adempimenti altrettanto complessi sono previsti per le candidature indipendenti.20 Inoltre, come è stato evidenziato, i neo partiti e i candidati indipendenti accedono a una porzione ristretta di tempo alla radio e alla televisione in campagna elettorale (v. supra).
Queste dinamiche mostrano come l’ingresso nell’arena politica sia molto selettivo e sia stato costruito in modo da limitare l’accesso alla competizione elettorale. La disposizione in base alla quale ciascuno ha il diritto di candidarsi alle elezioni si scontra con gli adempimenti legislativi particolarmente onerosi che sono richiesti per i nuovi attori politici. Il sistema mantiene ai partiti consolidati il monopolio della formazione della politica nazionale, riaffermando la centralità del loro ruolo. E’ indubbio che l’ulteriore obiettivo di una normativa così restrittiva è quello di ridurre la proliferazione e la frammentazione dei partiti, in modo da garantire un pluralismo limitato, in astratto, maggiormente in grado di conferire stabilità al sistema.
Tuttavia, le molteplici critiche che sono mosse al sistema dei partiti potrebbero essere attenuate proprio dall’introduzione di clausole finalizzate a rendere più dinamico il panorama politico. In parte ha risposto a questo rilievo la riforma elettorale del 2014, che ha consentito nelle ultime tornate elettorali l’esistenza di un certo numero di candidature indipendenti e l’emersione di una nuova formazione politica come MORENA,21 un progressivo aumento dell’astensionismo alle urne, che ha raggiunto.
III. La democrazia interna dei partiti
Alla capillare disciplina dei partiti si associa anche un processo di centralizzazione che vede nell’INE e nel Tribunal Electoral del Poder Judical de la Federación, i sommi protagonisti. Il primo è l’erede dell’Instituto Federal Electoral e il secondo è un organo giurisdizionale competente a risolvere tutte le controversie in materia elettorale. Questi svolgono una serie di funzioni -oltre a quelle già indicate- che limitano l’autonomia dei partiti a favore di una cabina di regia di marca federale.
L’INE è definito dalla Costituzione un “organismo público autónomo dotado de personalidad jurídica…” ed è stato introdotto con la riforma costituzionale del 2014, da cui poi ha avuto origine il 23 maggio 2014 l’approvazione della Ley general de instituciones y procedimientos electorales (art. 32).
La trasformazione che ha investito l’Istituto ha vertebrato significativamente le sue funzioni, facendolo divenire il fulcro del procedimento elettorale. Non sono, infatti, trascurabili compiti particolarmente delicati come la definizione delle circoscrizioni elettorali oppure -come già indicato- il controllo e la verifica delle entrate e delle spese dei partiti politici, oltre a una serie di incombenze di tipo gestionale come la stampa del materiale elettorale e la costituzione degli uffici elettorali. Il movimento centripeto che vede nell’INE il suo polo di attrazione è confermato anche da un’ulteriore disposizione costituzionale che consente la facoltà di stipulare delle convenzioni con gli Stati, affinché l’Istituto possa gestire anche le elezioni locali. Inoltre, su richiesta dei partiti, l’INE può essere competente a organizzare le elezioni degli apparati direttivi dei partiti.
Sono dunque tre i piani sui quali l’Istituto opera con una certa pervasività: quello federale, quello statale e quello partitico. Gli ultimi due livelli sono attivati solo su istanza dei richiedenti ma ciò non fa venire meno il processo di forte accentramento delle funzioni da parte dell’INE, che si giustifica con la necessità di perseguire obiettivi di trasparenza e legalità. Tuttavia, è innegabile che questo percorso limita ulteriormente spazi di autonomia dei singoli partiti, le cui operazioni di selezione degli incarichi interni possono essere controllati e verificati dall’Istituto.
Tuttavia, è un altro profilo che desta interesse e che riguarda la verifica del tasso di democraticità dei partiti al loro interno ad opera prima dell’INE e in sede contenziosa eventualmente poi dal Tribunal Electoral. Questa duplice vigilanza è ottenuta, attraverso l’obbligo di deposito di alcuni documenti all’INE fra cui figura lo Statuto, il cui contenuto non è predeterminato ma in base alle norme costituzionali e legali deve ottemperare ai principi democratici. Poiché le fonti legali non esplicitano i criteri di misurazione della democraticità dei partiti, questo onere è stato assolto dall’organo giurisdizionale elettorale, chiamato a giudicare sul rispetto della democrazia delle procedure interne.
A questo proposito merita sintetizzare alcune riflessioni generali sul tema generale della democrazia interna dei partiti.22
Il principio democratico si struttura in due processi selettivi: quello riguardante i candidati e quello concernente gli incarichi di partito. L’obbligo costituzionale di adempiere ai principi democratici sembra essere strategico per la legittimazione dei partiti stessi; il presupposto è costituito dalla certezza che per agire democraticamente nelle istituzioni, è necessario assimilare il metodo democratico nelle associazioni che quelle istituzioni contribuiscono a realizzare.
D’altra parte questa prospettiva è diffusa in molti ordinamenti e non stata neppure aliena al dibattito costituente italiano. Per bocca di Calamandrei, infatti, viene sottolineato come “l’organizzazione democratica dei partiti è un presupposto indispensabile perché si abbia anche fuori di essa vera democrazia” e a questo proposito erano presentati due emendamenti: il primo alla firma di Mortati che indicava nella Corte costituzionale l’organo deputato al controllo e l’altro ad opera di Ruggiero, che prevedeva l’attribuzione ai partiti di personalità giuridica e di funzioni di rilievo costituzionale in cambio dell’esistenza di uno statuto il cui fondamento democratico avrebbe potuto essere controllato da un organo indipendente. L’emendamento dell’on. Mortati recitava che: “Tutti i cittadini hanno diritto di riunirsi liberamente in partiti che si uniformino al metodo democratico nell’organizzazione interna e nella azione diretta alla determinazione della politica nazionale”. “E’ nei partiti infatti che si preparano i cittadini alla vita politica e si dà modo ad essi di esprimere organicamente la loro volontà, è nei partiti che si selezionano gli uomini che rappresenteranno la nazione nel parlamento. Mi pare quindi che non si possa prescindere anche per essi dall’esigere una organizzazione democratica”.23
Il giurista italiano si ispirava alla convinzione che la garanzia della democrazia interna ai partiti avrebbe consentito l’espansione delle procedure democratiche nella società. Questo orientamento sembra ispirare anche la Costituzione messicana. In questa ottica, si spiegano le ragioni per cui sia la disciplina costituzionale che legislativa del Messico offrono l’opportunità di un profondo controllo e ingerenza sulla vita dei partiti posti in essere da un organo giurisdizionale.
E’, infatti, il giudice elettorale a svolgere un ruolo preponderante nella definizione del contenuto del principio democratico nell’attività dei partiti. Ad esempio, nella sentenza n. 2638/2008, il collegio precisa quali siano le condizioni irrinunciabili per poter definire democratica la vita interna dei partiti: esistenza di un’assemblea come organo decisionale del partito, composto da tutti i membri o da delegati, regolarmente e periodicamente convocata; la protezione dei diritti fondamentali dei membri, per esempio il diritto all’elettorato passivo e attivo, il diritto all’informazione, la libertà di espressione, la libertà di iscriversi a un partito; la previsione di sanzioni disciplinari a seguito di un procedimento equo con garanzie processuali; l’esistenza di procedimenti di elezione dei dirigenti e candidati del partito che garantiscano la libertà di voto; l’adozione della regola di maggioranza nelle procedure deliberative; i meccanismi di controllo del potere all’interno del partito come, per esempio, la possibilità di revoca dei dirigenti del partito.24
Sulla base dell’esistenza di questi presupposti, l’organo giurisdizionale può valutare il rispetto del carattere democratico dello statuto del partito e nella sua giurisprudenza si nota una certa tendenza a precisare gli elementi suddetti, non limitandosi a richiamare i principi generali di certezza, trasparenza, oggettività, eguaglianza ma dettagliando gli aspetti meramente procedurali circa l’elezione degli organi interni come per esempio la questione della durata del mandato, il regime di incompatibilità, i metodi di votazione. Tale orientamento per certi versi sembra riecheggiare l’approccio statunitense ai partiti in cui questi dovevano essere “i più trasparenti possibili alla volontà degli elettori, in ciascuno dei momenti del procedimento elettorale”.25
Il metodo interpretativo attraverso il quale i giudici compiono questa incisiva opera di specificazione è quello analogico, cioè traspongono principi e regole specifici dello Stato democratico-rappresentativo all’organizzazione del partito, compiendo un’operazione di assimilazione piena dell’associazione alla struttura istituzionale statale, ponendo in ombra i profili che invece differenziano la dimensione partitica da quella dello Stato apparato.26 In Messico, dunque, l’autorità giurisdizionale produce un significativo sforzo nell’implementazione di un processo di democratizzazione a tutto campo. Questo è sicuramente auspicabile ma inevitabilmente nei suoi risvolti applicativi significa che l’attività di un partito finisce per essere controllata e monitorata in maniera incisiva dagli organi giurisdizionali. A questo fine, i giudici obbligano a sottoporre a termine gli incarichi di partiti, indicano le cariche incompatibili con gli incarichi di partito ed escludono in maniera tassativa il voto per acclamazione, sintetizzano i principi generali della campagna elettorale interna, regolano le operazioni elettorali in senso stretto, precisano le situazioni di incompatibilità e ineleggibilità e la durata del mandato.27
In questo modo, si vuole preservare la democrazia procedurale ma anche favorire una democrazia partecipativa in cui la formazione della volontà proviene dal basso e va verso l’alto.
L’actio iudicandi del Tribunale è dunque particolarmente pervasiva, più che altro perché a differenza di altri ordinamenti i parametri di valutazione non sussistono nel diritto positivo ma in quello giurisprudenziale. In Italia, qualsiasi controversia relativa ai rapporti interni ai partiti viene decisa sulla base della disciplina generale sulle associazioni e sui rispettivi statuti che fungono appunto da parametro. In Italia, quindi, anche per le associazioni non riconosciute, la giurisprudenza ordinaria ammette azione dei singoli iscritti contro gli organi dei partiti a tutela di loro specifici interessi come ad esempio con riguardo alla partecipazione a congressi, convocazione di assemblee, delibere congressuali, elezioni interne.28 Proprio su queste basi, recentemente in Italia si è coagulata una certa giurisprudenza riguardante le controversie in merito ad alcune decisioni prese dai vertici del Movimento 5 stelle. A titolo esemplificativo, possiamo citare l’ordinanza del tribunale di Genova del 10 aprile 2017, dove il giudice ha ritenuto illegittima la decisione del Garante del Movimento in quanto, in base alle fonti statutarie interne, senza la deliberazione dell’Assemblea, gli atti del Garante sarebbero illegittimi. In questo caso, la decisione giudiziale non ha inteso valutare la democraticità o meno delle procedure interne al partito ma si è limitata a verificare la conferenza delle decisioni domestiche rispetto alle fonti di regolazione interna.29
Una domanda che possiamo porci è se un organo giurisdizionale può spingersi fino a questa diffusa azione ispettiva dell’attività interna di un partito, seppure ai fini di salvaguardare il principio democratico, senza di fatto condizionare l’attività.
Infine, ci si può chiedere (anche provocatoriamente) se è necessariamente vero l’affermazione per la quale la democrazia di un partito è davvero strettamente connessa alla salvaguardia del sistema democratico. In fondo, si accetta un assioma che riposa sul presupposto che l’assenza della democrazia interna dei partiti sia sinonimo di esistenza di finalità eversive della democrazia. In fondo, il metodo democratico non è utilizzato in tutte le organizzazioni, quindi si riconosce implicitamente che le procedure democratiche non costituiscono sempre la soluzione ottimale. Basti pensare alle università, cioè delle istituzioni che si compongono di professori, personale tecnico e amministrativo e studenti, che non sono governate da procedure democratiche ma che contemporaneamente non sono di nocumento alla democrazia e, anzi, la sostengono e la promuovono.
Inoltre, non può essere trascurato il fatto che i partiti si pongono come competitor nel mercato elettorale e devono essere in grado di proporre i candidati che godono di maggiori chances di vittoria al fine di far prevalere il proprio programma politico e ottenere il maggior livello di gradimento fra i cittadini. In questa ottica, è da chiedersi se la massimizzazione delle procedure democratiche in tutti gli ambiti di funzionamento del partito può essere ostativo al raggiungimento dell’obiettivo.
E’ innegabile, infatti che il partito sia un centro di aggregazione di interessi più o meno generali costituto da un numero più o meno ampio di persone, ma è anche un’organizzazione che compete con altre alla determinazione della politica nazionale attraverso un processo selettivo.
Il fatto che il partito si muova in un’arena di competitori implica che la sua organizzazione debba essere la più efficiente ed efficace possibile. Allora la domanda che emerge è se l’attività delle organizzazioni politiche possono essere subordinate all’applicazione delle regole democratiche, nonostante possano incidere negativamente sulle loro performances: “solo un certo grado di cesarismo assicura la rapida trasmissione e la precisa esecuzione degli ordini nella lotta quotidiana”,30 per cui sembrerebbe inevitabile che la concorrenza politica implica processi di centralizzazione e professionalizzazione.31
IV. Riflessioni conclusive
Le indicazioni generali che sommariamente sono state indicate confermano le ipotesi di partenza e cioè che il sistema dei partiti in Messico è significativamente conformato da fonti pubblicistiche. Questo dato indica come lo spazio di autoregolazione dei partiti è di fatto esiguo e ciò implica che l’assetto organizzativo complessivo dei partiti è sostanzialmente omogeneo. Le differenziazioni possono risiedere nei programmi politici ma non tanto nelle differenti modalità di gestione dei rapporti interni o nelle distinte modalità di selezione dei candidati, poiché tendenzialmente l’intervento del Tribunal Electoral ha finito per produrre un effetto “no-mofilattico”.
La capillarità con la quale gli organi pubblici permeano e influenzano le attività dei partiti, tuttavia, non sembra essere stata argine idoneo per ridurre fenomeni di corruzione e/o di clientelismo. In base a uno studio, 7.8 milioni di elettori sono stati oggetto di tentativi di manipolazione del voto, sebbene solo il 21% è stato vittima di condotte penalmente rilevanti; il 7,2% ha ricevuto regali in cambio della promessa di un voto favorevole; mentre il 2% ha ricevuto prestazioni, favori o servizi. Le pressioni elettorali possono avere luogo durante la celebrazione di cerimonie religiose (3,1%) o addirittura all’interno dei seggi elettorali (2,1%).32
A questa tendenza omologatrice se ne affianca un’altra ed è quella che riguarda la riforma costituzionale che ha introdotto l’INE. Oltre all’ambito politico-elettorale di cui si già dato conto, ulteriori riflessioni possono essere svolte circa l’evoluzione del federalismo messicano. Non è il fine di questo contributo approfondire l’evoluzione della forma di stato federale ma sembra che anche in Messico il baricentro del sistema si sia traslato sulla Federazione a detrimento delle entità federate e dei loro apparati organizzativi.33
Si registra, inoltre, un sistema per il quale l’accesso al potere político è prevalentemente monopolizzato di fatto dai soli partiti e, soprattutto, da quelli ormai consolidati. Solo la riforma costituzionale del 2012 relativa all’art. 35 ha consentito di poter avanzare candidature indipendenti, nono-stante il Tribunal Electoral avesse sostenuto, nella sentenza 11/2012, che l’esclusione di queste candidature non costituisse una violazione dei diritti di partecipazione politica. Tuttavia, per le ragioni sopra esposte, le possibilità di esiti favorevoli di queste candidature rimangono scarse.34
Un altro profilo meritevole di attenzione a livello comparato riguarda l’e-mersione del tema della rappresentanza politica delle popolazioni indigene. Nel 1992, una riforma costituzionale ha incorporato le comunità autoctone fra i popoli costitutivi l’ordinamento messicano e in seguito la legislazione elettorale ha indicato fra i propri obiettivi quello di implementare la rappresentanza indigena. Tuttavia, al di là delle dichiarazioni di principio, non è stata adottata un’adeguata legislazione di sostegno che favorisca l’elezione di questi candidati,35 anche se nel 2005, l’allora IFE ha definito una riconfigurazione dei distretti elettorali costituendone un certo numero con popolazione pari o superiore al 40% di membri di comunità aborigene.
Più incisive sono state le misure di favore per incrementare la presenza femminile36 negli organi di rappresentanza politica e i dati provano la bontà degli strumenti: nelle elezioni del 2015 per la Camera bassa, le donne elette sono state 213 pari al 42,6%, mentre, nella tornata del 2012, le senatrici selezionate sono 47, pari al 36,7%. Fin dal 1996, è stata fissata una percentuale massima di rappresentanza di un genere, identificata nel 70% e nel 2007 le candidature di un sesso non potevano essere inferiori al 40%. Anche in questo caso, però, sono stati determinanti i due organi certificatori dei processi elettorali: il Tribunal Electoral e l’Ine. Il primo con la giurisprudenza ha imposto ai partiti politici l’obbligo di indicare almeno 120 candidati per la Camera dei deputati e 26 per il Senato appartenenti a un sesso; d’altra parte l’INE ha adottato un accordo che stabiliva i criteri per i partiti per poter ottemperare a quanto stabilito dall’organo giurisdizionale.
La valutazione sul sistema dei partiti in Messico non può essere dunque univoca: da una parte la pervasiva vis regolatoria restringe gli spazi di autonomia di queste formazioni, dall’altra parte, gli stessi interventi, però, hanno contribuito a renderle entità porose alle istanze democratiche e a configurare il mercato elettorale uno spazio meno sensibile a posizione di forza.37